Carbonizzazione idrotermale: lo smaltimento ecocompatibile dei rifiuti organici
Per smaltire i rifiuti organici derivati dalla raccolta differenziata arriva un processo alternativo al compostaggio e alla termovalorizzazione, vediamone pregi e difetti.
Carbonizzazione idrotermale: la materia organica dei rifiuti sia domestici che industriali rappresenta la frazione più pesante dei rifiuti solidi urbani (30-40 % del totale) ed è costituita dagli scarti alimentari e dagli sfalci erbosi e le ramaglie, dalla carta e anche il legno. Provengono sia dagli scarti domestici che da mense e ristoranti, sia da giardini pubblici e privati e sia dai mercati.
Per diminuire il volume dei rifiuti organici, si trasformarsi in compost usato come fertilizzare per il suolo grazie agli impianti di compostaggio, che sfruttano un processo di bio-ossidazione. Tramite digestione anaerobica viene ottenuto anche del biogas che può essere bruciato per produrre energia elettrica e calore, diminuendo le emissioni inquinanti.
Svantaggi della Carbonizzazione idrotermale
Tuttavia ci sono diversi aspetti negativi. Si tratta di un processo che funziona ed è economico, che però emette CO2 e consuma energia. E’ in fase avanzata di studio un nuovo processo di smaltimento dei rifiuti organici– veloce e autosufficiente dal punto di vista energetico – che riduce i consumi di suolo e le emissioni e recupera materiali da utilizzare in ambito industriale e agricolo: la carbonizzazione idrotermale.
Si tratta di un brevetto spagnolo ma sviluppato in Italia dalle aziende Ingelia e Creo. Questa tecnologia per il recupero e la valorizzazione dell’umido e del verde da raccolta differenziata, finalizzata alla produzione di lignite e alla chiusura in loco del ciclo dei rifiuti organici, si chiama carbonizzazione idrotermale e ha appena ottenuto il certificato di eccellenza della Commissione Europea, nell’ambito del programma quadro Horizon 2020.
In Europa sono attualmente disponibili 80 milioni di tonnellate di rifiuti organici umidi: un quantitativo enorme, che per 2/3 viene però ancora incenerito o avviato alla discarica. In Italia la quantità totale di rifiuti organici da raccolta differenziata si è attestata nel 2014 a 5,7 milioni di tonnellate. Una cifra destinata ancora a crescere (secondo l’Ispra si raggiungeranno quasi 11 milioni di tonnellate nel 2030), che impone la necessità di trovare impianti sufficienti a recuperare tutto l’organico raccolto. È qui che s’inserisce la carbonizzazione idrotermale, che potrebbe presto contribuire alla risoluzione del problema, in modo del tutto ecocompatibile.
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Questo procedimento ha luogo in condizioni di pirolisi umida e trasforma le biomasse in un principale prodotto finito, la lignite, che potrebbe essere utilizzata al posto della materia prima fossile in molteplici in campo industriale (dalla produzione di vernici a quella dei filtri), per sostituire il pellet da legna o come ammendante per i terreni in ambito agricolo.
Come funziona? Si mettono i i rifiuti organici derivati da raccolta differenziata, le potature e gli sfalci in un ambiente chiuso, con acqua ad una pressione di 20 bar e temperature fino ai 200° finché reagiscono come in un naturale processo di carbogenesi, originando un prodotto che ha le caratteristiche di una materia prima rinnovabile.
Ma quali vantaggi offrirebbe veramente il processo di carbonizzazione idrotermale rispetto al compostaggio?
L’impianto è autosufficiente per quanto riguarda energia e acqua, ha un basso impatto ambientale perché riesce a recuperare fino al 99% del carbonio iniziale, ed evita la sua dispersione nell’ambiente sotto forma di CO2 o gas metano. Inoltre non vi è combustione e non vengono rilasciate polveri sottili in atmosfera. Le uniche emissioni derivano dall’essiccazione del biocarbone a valle dell’impianto e sono composte prevalentemente da vapore acqueo. E’ stato calcolato che per ogni tonnellata di rifiuto organico trattato con carbonizzazione idrotermale, anziché con impianto di compostaggio con digestore, si evita di immettere in atmosfera 1,3 tonnellate di anidride carbonica, per un totale a regime di 78.000 tonnellate annue. Bando anche agli scarti, perché nel processo di carbonizzazione idrotermale ogni materiale inserito o trasformato viene valorizzato e recuperato.
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Inoltre il ciclo di produzione è più corto (8 ore contro gli oltre 60 giorni della biodigestione e compostaggio) e sono meno i rifiuti in giacenza (inferiori fino a 150 volte rispetto al compostaggio), che riducono le esigenze di spazio dell’impianto. Resta poco chiara la resa cioè quanta lignite verrà prodotta. Nel tradizionale biodigestore da 100 kg di frazione organica si ricavano 30-40 kg di compost.
Ma la lignite prodotta mediante questo processo alternativo al compostaggio dove e come potrebbe essere usata?
Potrebbe trovare applicazioni in campo industriale (per la produzione di filtri a carbone attivo, elettrodi per batterie, celle a combustibile, catalizzatori, materiali nanostrutturali e biopolimeri), agricolo (nel settore vivaistico come ammendante) e come combustibile al posto del pellet da legna. Rimangono però dei dubbi perché usare il carbone in questo modo è ancora oggetto di studio e non si sa se l’agricoltura riuscirebbe ad assorbire tutta la lignite prodotta da questi impianti e trarne dei veri vantaggi. Inoltre c’è un reale rischio di incendi perché si tratta di un prodotto infiammabile. Forse sarebbe opportuno bruciare la lignite per produrre calore, trasformando dunque la carbonizzazione idrotermale in un normale incenerimento di rifiuti, sia pure con alcune migliorie.
Intanto, dopo un primo impianto sperimentale in Spagna, si vogliono avviare due stabilimenti in Toscana, a Piombino (Li) e a Capannori (Lu), con capacita annua di 60mila tonnellate di rifiuti e un investimento di 35 milioni di euro.
E si sta collaborando con il Dipartimento di Ingegneria civile e industriale dell’Università di Pisa per studiare le possibili applicazioni in ambito agricolo e industriale del prodotto ricavato, hydrochar, assimilabile alla lignite di origine fossile e utilizzabile al suo posto. Ad esempio capire se la lignite di derivazione industriale è utilizzabile come ammendante agricolo autorizzato dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.
L’interesse è forte, basti pensare che il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, il più importante ente di ricerca nazionale per l’agroalimentare, svolgerà delle prove per valutare l’impiego nel settore agricolo e vivaistico della lignite e del compound di elementi fertilizzanti prodotti dal processo di carbonizzazione idrotermale, in particolare per quanto riguarda le colture della vite e dell’olivo.
La vera sfida rimane quella di chiudere il ciclo dei rifiuti organici e ritrasformarli nella materia organica che li aveva creati con il compostaggio e il ritorno al ciclo agricolo, come fa la natura.
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Ultimo aggiornamento il 21 Ottobre 2017 da Rossella Vignoli
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