Sempre più spreco di acqua per uso domestico: lo dice il censimento
Aumenta lo spreco di acqua per uso domestico in Italia secondo un Censimento quadriennale sviluppato dall’Istat fermo però ai dati del 2012.
Aumentano lo spreco di acqua potabile nel Belpaese. Lo riferisce il dossier pubblicato dall’Istat “Censimento delle acque per uso civile”, che presenta i dati riferiti al 2012: lo spreco di acqua per uso potabile è stato pari 9,5 miliardi di mc (+3,8%) rispetto al precedente rilevamento del 2008) conferma il trend registrato ormai da diversi anni.
La quantià e la numerosità dei prelievi di acqua destinata al consumo domestico dipendono da diversi fattori, la popolazione da servire e le caratteristiche idrogeologiche locali. Infatti la risorsa idrica non è uniformemente distribuita nel Paese; in molti casi i punti di prelievo distano molto dai luoghi di consumo (soprattutto al Centro Sud), e richiedendo la presenza di sistemi infrastrutturali complessi ed il trasporto. Condizioni all’origine di situazioni di forte criticità idrica.
Il maggior volume di acqua per uso potabile si preleva in Lombardia (16% del totale), mentre Valle d’Aosta e Sicilia hanno fatto registrare l’incremento maggiore rispetto al 2008 (rispettivamente + 32,7 e + 14,1%). Le contrazioni più forti si sono invece rilevate in Puglia (-14,7%) e nelle Marche (-13,2%). I motivi possono essere legati alle dispersioni di rete, quindi per garantire un livello di erogazione costante è necessario prelevare volumi maggiori e immettere più acqua nella rete di distribuzione.
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Rispetto al censimento del 2008 calano i trattamenti per eliminare gli agenti inquinanti e garantire la potabilità dell’acqua (8 milioni di mc nel 2008). Dal momento che le acque superficiali, a differenza di quelle sotterranee di maggior qualità, devono sempre esser trattate, sono le regioni che dispongono più di acqua di superficie a ricorrere alla potabilizzazione (Basilicata e Sardegna, Toscana, Emilia-Romagna e Puglia), dato l’elevato uso delle acque dei fiumi e dei bacini artificiali, mentre la Valle d’Aosta sì è ancora una volta distinta per il minor ricorso a questo tipo di operazioni.
Se aumentano i prelievi, dall’altra aumenta anche la quantità d’acqua immessa nelle reti comunali di distribuzione (8,4 miliardi di mc, pari a +2,6% rispetto al 2008). In Valle d’ Aosta, Umbria e Sicilia si sono registrati gli incrementi percentuali più consistenti, in Puglia e Basilicata le contrazioni più evidenti. Variano molto a livello regionale i volumi giornalieri pro-capite immessi in rete.
Rispetto al quantitativo prelevato, il volume immesso si riduce, in montagna per gli sfiori nei serbatoi d’accumulo (l’acqua disponibile che supera la capacità di contenimento torna in natura), nel Centro e nel Sud per l’estensione delle reti di adduzione.
Un altro fattore da tener presente è quello degli scambi interregionali, conseguenza di surplus d’acqua prelevata o di deficit rispetto alle esigenze delle diverse regioni.
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A fronte di un aumento dei volumi messi in rete si registra però una diminuzione dei consumi rispetto al 2008. Il volume erogato agli utenti dalle reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile (5,2 miliardi di mc), è diminuito del 5,4% rispetto al 2008.
Veniamo quindi ai punti dolenti del censimento. Non tutta l’acqua immessa in rete arriva agli utenti finali ciò è dovuto al grave e persistente fenomeno della dispersione idrica. Nel 2012 le dispersioni sono il 37,4%, con un incremento di ben 32,1 punti rispetto al 2008. Ciò significa che vengono persi 100mila litri di acqua al secondo per un clamoroso totale di 3,1 miliardi di mc!
Indubbiamente una perdita in tutti i sensi per il nostro Paese, ancora una volta alle prese coi problemi di efficienza nei servizi: rotture nelle condotte, impianti antiquati, consumi non autorizzati, errori di misura e riduzione della manutenzione sono le principali cause che hanno provocato questo disastro.
Il sistema ‘fa acqua da tutte le parti’, anche se i livelli di dispersione non sono omogenei in tutta Italia. Se le isole sono le più inefficienti (dove il 48,3%dell’ immesso in rete non raggiunge la meta finale), le minori perdite sono al Nord-Est (30%).
Chiudiamo con l’analisi degli impianti di depurazione, che rappresentano le infrastrutture fondamentali per ridurre l’inquinamento e salvaguardare la salute della popolazione. Nel 2012 gli impianti di depurazione delle acque reflue urbane ammontano a 18.786. Il Nord presenta la percentuale più ampia di impianti in funzione (35,2%), mentre spostandoci verso Sud questo dato diminuisce sensibilmente. Rispetto al 2008, in Basilicata, Puglia, Sardegna, Toscana e Marche si è registrato un aumento del numero di impianti affidati a grandi enti ed è aumentata l’efficienza del servizio.
Sempre in confronto al 2008, il carico di inquinanti di origine industriale che affluisce agli impianti di depurazione è diminuito del 27,8%. Crisi economica e sviluppo di infrastrutture adeguate hanno portato a convogliare correttamente le acque di scarico di origine industriale in specifici impianti di trattamento, separando le reti fognarie civili da quelle di raccolta dei reflui industriali.
Il servizio idrico nazionale è chiamato ora a tappare le falle del sistema, a partire dall’obiettivo primario di riduzione delle perdite.
Ultimo aggiornamento il 29 Marzo 2024 da Rossella Vignoli
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