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Il telelavoro è davvero amico dell’ambiente?

Una panoramica dei benefici ambientali e degli svantaggi dello Smart Working

Il telelavoro può essere un’alternativa lavorativa sostenibile? Per rispondere basta pensare a quante persone la mattina prendono l’auto per recarsi in ufficio, per poi iniziare un’attività che potrebbero svolgere direttamente da casa propria. Quanti, infatti, per lavorare necessitano soltanto di internet e computer? Vediamone anche i vantaggi e quali, invece, sono gli aspetti negativi.

Il telelavoro è davvero amico dell’ambiente?

Cos’è il telelavoro

Se il tipo di mansione lo consente, questa modalità remota permette di lavorare dalla scrivania della propria abitazione e comunicare con l’azienda attraverso internet, senza doversi spostare in un’altra sede e, quindi, senza dover utilizzare mezzi di trasporto sia privati che pubblici.

Benefici del telelavoro

Sicuramente ci sono diversi vantaggi a lavorare da remoto.

  • Flessibilità di orario. I dipendenti possono organizzare il proprio tempo in modo più flessibile, adattandolo meglio alle proprie esigenze personali e familiari. Questo può migliorare la loro soddisfazione e produttività.
  • Risparmio sui costi di spostamento. Si eiminano i costi e il tempo necessari per recarsi sul luogo di lavoro, come spese di carburante, biglietti dei mezzi pubblici, ecc. Questo porta a un risparmio sia per i dipendenti che per l’azienda.
  • Miglior equilibrio vita-lavoro. Permette di avere più tempo da dedicare alla propria vita personale e familiare, riducendo lo stress legato agli spostamenti e offrendo maggiore flessibilità.
  • Maggiore produttività: Diversi studi hanno dimostrato che i dipendenti in telelavoro tendono ad essere più produttivi, grazie alla riduzione delle distrazioni e a una maggiore concentrazione.
  • Accesso a un bacino di talenti più ampio. Le aziende possono assumere personale da diverse aree geografiche, non più limitate dalla necessità di lavorare in ufficio.
  • Minore impatto ambientale. Contribuisce a ridurre l’inquinamento e il traffico, in quanto diminuisce gli spostamenti. DIminuisce le emissioni legate agli spostamenti. Anche gli uffici consumano meno emergia per riscaldamento o raffrescamento.
  • Maggiore inclusione. Offre delle opportunità lavorative anche a persone con disabilità o altri vincoli che rendono difficile lo spostamento da e per l’ufficio.

Quanto il telelavoro è sostenibile?

Se si considera che gli spostamenti casa-lavoro-casa sono uno dei principali motivi per cui le strade si riempiono di traffico e che il traffico a sua volta è una delle maggiori cause di inquinamento, si capisce come questa pratica possa apportare un grosso beneficio ambientale.

I vantaggi ambientali derivanti dal telelavoro sono diversi. Oltre ad azzerare il costo energetico del carburante, permette una riduzione degli spazi e dei ‘consumi d’ufficio’ (come riscaldamento, illuminazione, aria condizionata, ascensore…), i quali spesso avvengono anche quando i locali sono vuoti o semi-vuoti.

E gli svantaggi?

In una panoramica del fenomeno, non possono essere negati alcuni potenziali svantaggi o limitazioni del telelavoro. Tra questi, vanno citati:

  • Aumento dei consumi domestici: il lavoro a distanza può aumentare il consumo di energia e risorse a livello domestico.
  • Dipendenza dalle tecnologie digitali: l’uso di dispositivi elettronici e internet ha un impatto ambientale, soprattutto per quanto riguarda la produzione e lo smaltimento dei dispositivi elettronici e l’energia consumata dai data center.
  • Senso di alienazione / perdita di socialità: il contatto personale rimane insostituibile ed è un aspetto da tenere in seria considerazione per quanto riguarda la salute mentale dei lavoratori.

Perché in Italia il telelavoro è poco diffuso?

Il telelavoro è dunque un modo per razionalizzare i consumi e ridurre significativamente gli spostamenti.
In Italia è mediamente diffuso.

Dopo la grande impennata del lock-down dovuto alla pandemia, molte aziende hanno deciso di ripristinare la presenza in ufficio completamente, oppure inaugurare un modello ibrido, in cui si passano 2-3 giorni fisicamente in azienda e 1-2 giorni a casa.

Le aziende più scettiche lo hanno abbandonato, per il solito problema della mancanza di controllo sui propri dipendenti, i quali in realtà devono comunque rendere conto, seppur a distanza, del proprio operato.

Anche i lavoratori potrebbero essere titubanti: le relazioni con i colleghi non sarebbero più dirette ma remote, lo spazio utilizzato sarebbe quello domestico, lo stipendio potrebbe essere inferiore. Ci sono certamente pro e contro ma resta il fatto che a volte la presenza dei lavoratori in ufficio è superflua.

In certi casi, infatti, per confrontarsi con colleghi e superiori, basterebbe recarsi in azienda saltuariamente: fare una riunione settimanale o mensile e svolgere il restante lavoro da casa.

Per non parlare delle donne che rientrano al lavoro dopo la maternità. La loro presenza in casa garantirebbe una maggiore continuità nell’inserimento del piccolo in una struttura educativa e aiuterebbe la mamma a gestire le emergenze in caso di malattia del bambino, che spesso comportano un forzato giorno di ferie e quindi un calo di produttività.

Ci auguriamo, complice la crisi economica e il post pandemia, che questa realtà ancora così poco diffusa cominci a prendere piede anche in Italia, partendo da un discorso puramente di taglio ai costi forse potrebbe avere un duplice vantaggio: aiutare i lavoratori a conservare il posto e proteggere l’ambiente!

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Ultimo aggiornamento il 28 Giugno 2024 da Rossella Vignoli

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Simona Treré

Classe 1984, si è laureata a Bologna in Scienze della Comunicazione (con una tesi su Green Marketing e Green Communication) e ha conseguito il master in Comunicazione Ambientale a Roma. Dal 2009 lavora nel settore della sostenibilità ambientale seguendo la comunicazione e la progettazione ambientale per aziende del territorio. Grazie ai suoi studi e al suo lavoro si è potuta dedicare a una delle passioni: l’ecologia e il rispetto per la natura (nei suoi vari, complicati e meravigliosi aspetti). Per divertimento ha sfilato come modella di abiti green e per hobby si è avvicinata all’affascinante mondo dei “rifiuti-non rifiuti” attraverso il riciclo creativo, creando e vendendo oggetti realizzati con materiale di recupero.

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