Ambiente

Le conferenze per il clima sono utili? Bilancio sulla Conferenza delle Parti sui Cambiamenti climatici

Gli accordi dei vari COP29, per adottare una politica ambientale comune funzionano o sono perdite di tempo?

A pochi giorni dalla chiusura dei lavori della COP29 di Baku, i media cominciano a tracciare un primo bilancio dell’evento e nel mondo ci si chiede se l’occasione sia stata colta dai potenti della terra per adottare una politica ambientale comune che sappia fornire risposte concrete e adeguate alle tante emergenze che affliggono il pianeta. La domanda è: ma le conferenze sul clima sono utili? Proviamo a rispondere.

Le conferenze per il clima sono utili? Bilancio sulla Conferenza delle Parti sui Cambiamenti climatici

Cos’è la conferenza climatica COP

Chiamata anche COP o Conferenza delle Parti sui Cambiamenti climatici, è un summit che vede riuniti una volta all’anno i rappresentanti dei Paesi industrializzati e di quelli in via di sviluppo per prendere delle decisioni comuni sulle politiche climatiche che permettano di limitare il più possibile l’avanzata dei cambiamenti climatici.

Si tratta di una conferenza annuale indetta dalle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. È l’organo decisionale supremo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), un trattato internazionale ambientale firmato nel 1992 durante il Summit della Terra a Rio de Janeiro.

Perché è nata la COP

La crescente preoccupazione globale per i cambiamenti climatici e la necessità di un’azione collettiva per affrontarli ha portato i membri dell’ONU alla creazione di un summit tra i suoi membri, per stabilire un quadro di cooperazione internazionale che permettesse di

  • stabilizzare le concentrazioni di gas serra nell’atmosfera a un livello che non sia pericoloso per le attività umane
  • tracciare le linee-guida e le politiche per arrivare a tali risultati

Perché l’ultima si chiama COP29

Si chiama COP per Conference of the Parties ed il numero definisce le edizioni di queste conferenze in cui 196 Paesi del mondo si riuniscono per parlare del problema climatico. Nel 2024 è stata la 29esima conferenza.

Perché la prossima si chiama COP30

La Conference of the Parties ha il numero accanto che indica le varie edizioni dalla prima del 1995 e nel 2025 è la 30esima conferenza, per cui COP30.

Cosa succede nella conferenza sul clima

Questa è la conferenza annuale delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. È l’organo decisionale supremo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), un trattato internazionale ambientale firmato nel 1992 durante il Summit della Terra a Rio de Janeiro.

Il principio è stato definito alla conferenza sul clima di Parigi del 2016, e prevede che chi ha fondato la propria economia sulle emissioni di combustibili fossili sia il principale responsabile della crisi climatica. E abbia così l’obbligo di compensare finanziariamente i Paesi che più soffrono la crisi climatica.

Quando si svolge la Conferenza sul clima COP

Ogni anno, in genere tra fine ottobre e inizio dicembre, in un paese diverso che si offre di ospitarla, è indetta la conferenza sul clima. La prima COP si è tenuta a Berlino nel 1995 e da allora ogni anno viene indicato dal numero che è accorpato al termine COP. Nel novembre 2024 è stata chiusa la COP29, ovvero quella del 29esimo anno da Berlino, la COP1.

Obiettivi delle conferenze sul clima COP

L’obiettivo principale di queste plenarie è quello di monitorare e rivedere l’attuazione dell’UNFCCC e degli strumenti strumenti che sono stati definiti come basi, il Protocollo di Kyoto e l’Accordo di Parigi. Ed include:

  • Ridurre le emissioni di gas serra: è importante stabilire degli obiettivi e quali meccanismi servono per la riduzione delle emissioni a livello globale
  • Adattamento ai cambiamenti climatici: bisogna dare aiuto a tutti i Paesi per potersi adattare agli impatti che i cambiamenti climatici avranno su di loro, parliamo dell’innalzamento del livello del mare e degli eventi meteorologici estremi
  • Finanziamenti per il clima: mobilitare risorse finanziarie da parte dei Paesi più ricchi per supportare quelli più poveri e quelli in via di sviluppo nella riduzione delle emissioni e nell’adattamento ai cambiamenti climatici
  • Trasferimento tecnologico: facilitare il trasferimento di tecnologie pulite e sostenibili ai paesi in via di sviluppo
  • Capacity building: rafforzare le capacità dei Paesi in via di sviluppo di affrontare i cambiamenti climatici

Il principio è che i Paesi più ricchi hanno maggiori responsabilità dei cambiamenti climatici, maggiori risorse finanziarie per porvi rimedio, e un’influenza più forte nel mitigarne gli effetti e l’avanzamento.

Quali sono gli accordi dell’ultima conferenza sul clima COP29

Nel 2024 a Baku si è tenuta la conferenza sul clima più recente, che ha trovato un accordo tra i partecipanti stabilendo che siano 300 miliardi di dollari l’anno gli aiuti che i Paesi più ricchi e sviluppati dovranno dare come sovvenzioni a fondo perduto o in prestiti a basso tasso di interesse ai Paesi in via di sviluppo.

Tuttavia, esistono diversi Paesi che non fanno parte del club degli stati più sviluppati ma che comunque contribuiscono in maniera elevata alle emissioni, parliamo di Stati del golfo produttori di petrolio, di PAesi del sud-est asiatico come Cina e Corea del Sud. Questi sono incoraggiati a contribuire, ma senza alcun obbligo.

I contributi rientrano in un piano decennale (2025-35) che definisce gli obiettivi affrontare investimenti legati ad opere che proteggano o facciano fronte ai problemi che stanno affrontando per via dell’inquinamento e del danno ambientale.

Però, i Paesi più vulnerabili continuano ad essere i più esposti alle conseguenze sempre più devastanti dei cambiamenti del clima e l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale ad appena 1,5° in più di quello dell’era pre-industriale entro i prossimi 10 anni sembra sempre più irraggiungibile.

Sembra sempre difficile che tutti i Paesi si rendano conto del legame tra ciò che è stato fatto e i problemi climatici odierni e futuri. E anche individuare misure concrete per diminuire l’uso dei combustibili fossili, sembra dia diventato impossibile per i partecipanti alla conferenza.

Cosa sono l’accordo di Parigi sul clima e il protocollo di Kyoto

L’Accordo di Parigi sul Clima e il Protocollo di Kyoto sono due trattati internazionali chiave per affrontare il cambiamento climatico. Ecco una spiegazione dettagliata di entrambi:

L’Accordo di Parigi sul Clima (2015)

Questo trattato globale firmato nel 2015 durante la 21ª Conferenza delle Parti (COP21) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) mira a limitare il riscaldamento globale e a rafforzare la risposta collettiva al cambiamento climatico.

I suoi obiettivi principali sono:

  • Limitare il riscaldamento globale: mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2° rispetto ai livelli pre-industriali, sforzandosi di limitarlo a 1,5° per ridurre i rischi e gli impatti del cambiamento climatico
  • Riduzione delle emissioni: ogni Paese deve stabilire i propri obiettivi di riduzione delle emissioni (i cosiddetti Contributi Determinati a Livello Nazionale) e aggiornarli ogni cinque anni con ambizioni più elevate
  • Neutralità climatica: raggiungere un equilibrio tra emissioni prodotte e assorbite (neutralità climatica o zero impact) entro la seconda metà del secolo
  • Finanziamenti climatici: i Paesi sviluppati devono fornire supporto finanziario ai paesi in via di sviluppo per aiutarli a ridurre le emissioni e adattarsi agli impatti del cambiamento climatico.

La caratteristica principale dell’accordo è il vincolo giuridico, anche se gli obiettivi specifici (NDC) sono stabiliti dai singoli paesi. Coinvolge quasi tutti i paesi del mondo ed è entrato ufficialmente in vigore il 4 novembre 2016.

Il Protocollo di Kyoto (1997)

Questo un trattato internazionale è stato adottato nel 1997 durante la 3ª Conferenza delle Parti (COP3) dell’UNFCCC. È stato il primo a imporre obiettivi vincolanti di riduzione delle emissioni di gas serra per i paesi industrializzati e le economie in transizione.

  • Ridurre le emissioni complessive dei sei principali gas serra (CO₂, CH₄, N₂O, HFC, PFC e SF₆) di almeno il 5%rispetto ai livelli del 1990 nel periodo 2008-2012 (prima fase di attuazione).
  • Stabilire un sistema basato su quote di emissione e meccanismi di mercato, come lo scambio di emissioni (cap-and-trade), cioè i Paesi possono comprare e vendere crediti di emissione, il meccanismo di sviluppo pulito per cui i Paesi sviluppati possono investire in progetti di riduzione delle emissioni nei paesi in via di sviluppo e ottenere crediti, ed il meccanismo di implementazione congiunta in cui i Paesi sviluppati possono collaborare tra loro per ridurre le emissioni

Questo accordo è vincolante solo per i paesi industrializzati, quindi Paesi in via di sviluppo (come Cina e India) non hanno obblighi di riduzione. È stato adottato nel 1997, è entrato in vigore nel 2005. Ha avuto una seconda fase (2013-2020), nota come emendamento di Doha, ma non è stata ratificata da tutti i paesi.

Differenze principali tra Accordo di Parigi e Protocollo di Kyoto

Il Protocollo di Kyoto è stato il primo passo verso la regolamentazione internazionale delle emissioni, ma aveva limiti, come l’esclusione dei paesi in via di sviluppo e l’incapacità di raggiungere obiettivi ambiziosi. L’Accordo di Parigi, invece, è più inclusivo e flessibile, con obiettivi globali condivisi e adattabili, che mirano a un impegno collettivo per affrontare il cambiamento climatico.

Caratteristica Protocollo di Kyoto (1997) Accordo di Parigi (2015)
Obblighi Vincolante solo per i paesi industrializzati Coinvolge tutti i paesi del mondo
Obiettivi di riduzione Fissi e stabiliti a livello internazionale Stabiliti dai singoli paesi (NDC)
Gas serra considerati 6 principali gas serra Tutti i gas serra
Periodo di validità Prima fase: 2008-2012; Seconda fase: 2013-2020 In vigore dal 2016, senza scadenza fissa
Meccanismi di mercato Sì (CDM, scambio di emissioni, JI) Non prioritario, ma previsto
Obiettivo principale Riduzione del 5% rispetto al 1990 Limitare il riscaldamento a 1,5°-2°

 

Le conferenze per il clima sono utili?

Uno dei primi ad essere intervenuto sulla questione è stato Manuel Pulgar-Vidal, responsabile globale Clima ed Energia del WWF, generale del WWF, che ha commentato con molto amarezza l’esito di queste conferenze, definendole, di fatto, un’occasione sprecata.

Gli accordi sulla finanza climatica che ogni anno si raggiungono in queste conferenze lasciano sempre un po’ tutti gli attori coinvolti scontenti. I Paesi ricchi per essere costretti a pagare cifre considerevoli ai Paesi invia di sviluppo e questi ultimi per non aver ottenuto quello che veramente si aspettavano.

Inoltre, le decisioni sono sempre non vincolanti e difficili da mantenere.

Non si è ancora riesciti a trovare un accordo sull’analisi degli effettivi progressi delle politiche sul clima portate avanti dai vari Paesi negli ultimi anni, che sarebbe molto utile per ridefinire come raggiungere gli obiettivi via via che si avanza verso la data fatidica.

Inoltre, diversi Paesi da tempo cercano di sminuire il lavoro dell’IPCC (Intergovernmental Panel On Climate Change) e di disimpegnarsi dagli obiettivi di limitazione e abbandono graduale delle fonti fossili che la conferenza COP28 di Dubai aveva impostato.

L’IPCC da tempo valuta a lievello globale ed in maniera obiettiva tutte le informazioni scientifiche, tecniche e socio-economiche che permettono di valutare i rischi dei cambiamenti climatici indotti dall’uomo, i loro impatti e come è possibile adattarsi e mitigare il problema.

I limiti della Conferenza sul Clima

In sintesi, i grandi limiti di questi summit è racchiuso in questi problemi:

  • Lentezza nei processi decisionali: è quasi impossibile raggiungere un consenso tra quasi 200 paesi ed il processo è lungo e complesso, portando a compromessi che non sono sufficientemente ambiziosi e scontentano molti
  • Mancanza di meccanismi vincolanti: le azioni si basano in gran parte sull’impegno volontario dei Paesi, senza meccanismi sanzionatori efficaci per chi non rispetta gli impegni
  • Disparità tra paesi sviluppati e in via di sviluppo: esiste una forte disparità tra i Paesi sviluppati, storicamente responsabili della maggior parte delle emissioni di gas serra, e i Paesi in via di sviluppo, che spesso sono i più vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici. Proprio la questione del finanziamento per il clima è un punto di forte contrasto.
  • Influenza delle lobby: le grandi aziende in particolare del settore dei combustibili fossili, ed i Paesi produttori di petrolio, esercitano una forte influenza sulle negoziazioni, spesso cercando di rallentare o bloccare le decisioni più ambiziose

Quali sono i problemi della Conferenza sul Clima

Alla COP partecipano rappresentanti dei Governi di quasi tutti i Paesi del mondo, oltre a osservatori provenienti da organizzazioni non governative, istituzioni accademiche, aziende private e media. Ma, di fatto, la conferenza è lo specchio della frattura tra la società civile, rappresentata da associazioni, sindacati, esponenti del mondo scientifico, leader delle popolazioni locali, ed i rappresentati politici, che durante i giorni del summit sono letteralmente assediati da manifestanti provenienti da tutto il mondo. E nonostante i pareri positivi espressi dai rappresentati degli stati convocati, i veri protagonisti sono sempre gli assenti illustri, a cominciare dal presidente americano.

Ciò che viene prodotto ogni anno in seno alla conferenza è un documento finale che assomiglia molto ad un elenco di buoni propositi e poco ad un progetto concreto. Regna più l’incertezza che delle azioni concrete. Le potenziali strategie adottabili non sono supportate da indicazioni precise, target, strumenti operativi e – cosa ancora più importante – da risorse economiche importanti e realistiche per metterle in atto.

Il futuro del pianeta, dunque, è sempre più una partita destinata a giocarsi sul tavolo dei mercati legati alla green economy.

Le richieste deI Paesi emergenti sono di finanziare opere necessarie per perseguire gli obiettivi di sostenibilità, ed i Paesi ricchi dovrebbero impegnarsi concretamente verso uno sviluppo sostenibile, che deve essere coerente con le strategie e gli impegni già assunti e deve essere consistente con le leggi internazionali, rispettando, in particolare, il principio di sovranità nazionale.

Come evolveranno le conferenze per il clima

Ci sono tanti buoni consigli ma mancano delle vere e proprie procedure operative per quanto riguarda l’aspetto normativo-istituzionale pertinente ad ogni Stato.

La COP è un forum cruciale per la cooperazione internazionale sui cambiamenti climatici, ma deve affrontare sfide significative per raggiungere i suoi obiettivi e garantire un futuro sostenibile per il Pianeta.

Ma se i grandi della terra continuano a perdere tempo prezioso in chiacchiere i dannis aranno irreparabili per l’umanità.

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Ultimo aggiornamento il 26 Novembre 2024 da Rossella Vignoli

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Rossella Vignoli

Fondatrice e responsabile editoriale, è esperta di bioedilizia, design sostenibile e sistemi di efficienza energetica, essendo un architetto e da sempre interessata al tema della sostenibilità. Pratica con passione Hatha yoga, ed ha approfondito vari aspetti dello yoga. Inoltre, è appassionata di medicina dolce e terapie alternative. Dopo la nascita dei figli ha sentito l’esigenza di un sito come tuttogreen.it per dare delle risposte alla domanda “Che mondo stiamo lasciando ai nostri figli?”. Si occupa anche del sito in francese toutvert.fr, e di designandmore.it, un magazine di stile e design internazionale.

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