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Fast fashion: tutto quel che c’è da sapere sulla moda facile e a basso costo

Cos'è e quali conseguenze riversa sull'ambiente e su alcune fasce di popolazione

Chi non ha mai acquistato un capo d’abbigliamento in una grande catena di negozi di moda? Del resto, come non farsi attirare, quando c’è la possibilità di rinnovare spesso il proprio guardaroba, restando al passo con le ultime tendenze moda, senza dover spendere un patrimonio. Ma vi siete mai chiesti come è possibile produrre velocemente abiti a basso prezzo e farli arrivare altrettanto velocemente in negozio? Alla base del processo produttivo del fast fashion.

Fast fashion: tutto quel che c’è da sapere sulla moda facile e a basso costo

Si tratta di una produzione di capi dal grande impatto ambientale. Ma di fatto, è l’approccio attualmente più utilizzato da diversi brand molto popolari, perché implica una produzione massiva di capi di abbigliamento venduti a prezzi molto bassi, e distribuiti e riassortiti velocemente.

Andiamo a scoprire insieme cosa si nasconde dietro a magliette vendute a 5 euro o a pantaloni a 19,99 euro. Ma non solo, e quali alternative ci possono essere.

Cosa si intende con il termine fast fashion?

Con questo termine inglese si indica un settore della vendita al dettaglio di abbigliamento che realizza abiti di bassa qualità a prezzi molto ridotti, ma con la veloce disponibilità in negozio di nuove collezioni, continuamente riassortite.

In pratica, si tratta di molte grandi catene di negozi di abbigliamento per uomo, donna e bambino, che si trovano in tutte le città del mondo, soprattutto nei centri commerciali e nelle strade e distretti commerciali più importanti.

Lo scopo è di attrarre i compratori, a scapito di tanti altri fattori, dalla velocità e dalla varietà dei capi presentati in negozio.

fast fashion

Il fast fashion può anche essere considerato un processo di democratizzazione della moda, un fenomeno che consente a tutti di vestirsi seguendo le ultime tendenze con capi di media fattura.

Tuttavia, per sostenere i ritmi di produzione di queste aziende, la produzione avviene di solito in Paesi dove il costo del lavoro e della manodopera è molto basso, e quindi, dove i lavoratori vengano sfruttati e sottopagati.

Dove nasce il fast fashion

Il termine venne usato per la prima volta sul New York Times nel 1989, quando Zara aprì le porte del suo store nella Grande Mela. Nell’articolo si parlava di un nuovo modo di fare business in ambito moda-abbigliamento.

Bastavano infatti solo un paio di settimane perché una collezione di abbigliamento di tendenza (nel caso specifico a marchio Zara) arrivasse nei negozi e fosse quindi disponibile agli acquirenti. Analogamente, una nuova collezione arrivava nel giro di 15 giorni in negozio a sostituire la precedente.

Il vero e proprio boom dei primi brand fast fashion si colloca attorno agli anni ’70, quando nascono marchi globali. Nel corso degli anni, queste aziende si sono infatti trasformate da piccole realtà imprenditoriali specializzate -spesso a gestione familiare – in colossi mondiali molto popolari. Tale processo evolutivo è potuto avvenire a seguito di cambi radicali in fatto di strategie di produzione, gestione delle risorse, distribuzione e vendita.

I colossi del fast fashion hanno vissuto il loro ‘periodo d’oro’ tra gli anni ’90 e i 2000. In quest’arco temporale si è infatti assistito ad una loro diffusione mondiale e capillare, arrivando a competere per diffusione, e fatturato, con realtà più di lusso.

Che cosa caratterizza il fast fashion

Questo settore dell’abbigliamento è caratterizzato da abiti di medio-bassa qualità a prezzi molto competitivi, e da una disponibilità e un rinnovo continuo delle collezioni.

Questa è una strategia che ha bisogno di una ideazione, una produzione e una catena distributiva velocissime e reattive, con l’obiettivo di offrire le ultime tendenze del momento in fatto di stile e colore, ad un buon prezzo.

I prodotti attraggono soprattutto donne giovani, più attente allo stile e alla moda, che amano stare al passo coi tempi in fatto di outfit, ma che non possono o non vogliono spendere un troppo per rifarsi l’armadio ogni 2-3 mesi.

Sintetizzando, possiamo quindi dire che i grandi colossi del fast fashion hanno:

  • reso la moda democratica perché accessibile a tutti
  • modificato il concetto di “collezione” con un ricambio continuo dell’offerta
  • compreso e sfruttato le nuove tendenze d’acquisto puntando sul comportamento compulsivo del consumatore

I vantaggi del fast fashion

Questo sistema di produzione presenta degli aspetti positivi. Molti capi di abbigliamento acquistati nelle grandi catene di distribuzione possono durare anche vari anni. Inoltre, non sono sempre di scarsa qualità.

Non dimentichiamo infine che il fast fashion ha rappresentato una vera e propria rivoluzione nel settore retail. Producendo moda low cost, offre infatti la possibilità ad un’ampia fascia di pubblico di acquistare capi appena visti sulle passerelle o di rinnovare il proprio guardaroba senza spendere troppo.

Le aziende che si basano su questo sistema non sempre possono permettersi di utilizzare i tessuti ecologici perché costano più cari. Tuttavia, per contrastare le conseguenze negative sulla propria reputazione nel mondo, alcuni hanno ideato delle campagne di ritiro vestiti usati in cambio di sconti sui nuovi acquisti. Altri hanno ideato collezioni con materiali riciclati o fibre naturali da coltivazioni biologiche.

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Questo genere di iniziative hanno avuto un riscontro e successo tra il pubblico attento a questi aspetti: il consumatore può acquistare qualcosa di nuovo ad un prezzo scontato, con la percezione di fare qualcosa di utile per il pianeta e comunque di risparmiare.

I problemi del fast fashion

Vendere abbigliamento a basso costo vuol dire produrlo e distribuirlo puntando al prezzo più competitivo. Questo è possibile solo se si svalutano alcuni importanti aspetti della produzione.

Anzitutto, a pagarne le sorti, sono i lavoratori, che avranno un salario basso e saranno costretti a lavorare in condizioni più difficili, con minori garanzie. E poi, non è preso in considerazione l’impatto ambientale provocato da un sistema produttivo così massivo e veloce.

Analizziamo i due problemi più nel dettaglio.

  • Sfruttamento del lavoro. Nella maggior parte dei casi queste catene appaltano la produzione ad altre aziende di paesi in via di sviluppo, soprattutto del sudest asiatico (come Pakistan, India, Vietnam, Indonesia, Cina) e dell’area mediterranea (Tunisia, Marocco). E non hanno visibilità o controllo dei loro metodi produttivi. L’unico criterio di scelta di questi fornitori è il costo di produzione, per cui spesso questi ultimi utilizzano manodopera locale, soprattutto femminile, a volte addirittura i bambini, pagata molto poco, per essere competitive.
  • Impatto ambientale. Anche l’impatto sull’ambiente è fondamentale. I tessuti sono scelti sul criterio del costo e non sull’eventuale danno ambientale per produrli. Non vi è attenzione alle tecniche di produzione, né sulle sostanze chimiche aggressive utilizzate per tingere o produrre i tessuti. L’impatto negativo sull’ambiente deriva soprattutto dall’uso di pesticidi che inquinano i fiumi e i terreni vicini alle fabbriche, e l’applicazione di coloranti tossici o sostanze dannose e aggressive impiegate per colorare o sbiancare i tessuti.

Perché i vestiti inquinano

In generale, tutti i tessuti, con l’utilizzo ed il lavaggio, perdono una certa quantità di fibre.

Quanto inquina il fast fashion

Il settore della moda emette ogni anno più di un miliardo di tonnellate di gas serra, che rappresentano il 2% delle emissioni totali.

In generale, poi, l’industria della moda è una delle più inquinanti verso le risorse idriche. Gli esperti hanno infatti stimato che il 20% dell’inquinamento delle acque industriali nel mondo è proprio causato dal trattamento e dalla tintura dei tessuti.

Inoltre, l’industria della moda è una di quelle a più alta intensità di elettricità al mondo, perché consuma tantissimo e fa poco uso delle fonti energetiche rinnovabili.

Ad oggi, rappresenta la seconda industria più inquinante dopo il petrolio. Ciò è dovuto, in particolar modo, all’utilizzo di pesticidi, formaldeide e agenti cancerogeni utilizzati per la produzione dei tessuti impiegati nella realizzazione degli abiti.

fast fashion

Infine, sia le aziende che i consumatori smaltiscono milioni di tonnellate di abbigliamento ogni anno.

Nel caso specifico del fast fashion, è bene sapere che queste aziende utilizzano un numero significativo di risorse disponibili sul pianeta. Per dare un esempio pratico, basti pensare che, per la realizzazione dei vestiti, queste aziende usano molta acqua, circa il 4% dell’acqua potabile disponibile nel mondo (per produrre un paio di jeans serve la stessa quantità di acqua che una persona nel mondo occidentale beve in 3 anni).

Infine, non sono da dimenticare gli effetti negativi sull’ambiente provocati dal trasporto degli indumenti stessi.

Quanto inquina una maglietta

Stando al rapporto “Global Fashion: Green is the new black”, per produrre una maglietta servono circa 2.700 l di acqua, la quantità media bevuta da una persona in quasi 3 anni. Per un paio di jeans ne servono invece 7000.

Una maglietta di cotone emette circa 2,2 kg di CO2. Una t-shirt in acrilico o altri materiali plastici, ha addirittura un’impronta più che doppia: si parla infatti di circa 5 kg di CO2.

Quanto costa produrre una maglietta

Di media, il costo per la produzione di 10 magliette da uomo è di 5,34 euro per unità. L’eventuale prezzo di stampa sarebbe pari a 2,44 euro.

Quali sono i tessuti che inquinano di più

Vengono principalmente utilizzati due materiali che, nonostante abbiano un’origine ben diversa, sono comunque problematici.

  • Poliestere. Proviene dal petrolio ed è il principale responsabile delle microplastiche presenti nei nostri mari. Non è biodegradabile ed è poco traspirante. Sulla base di questo secondo fattore, non è adatto per stare a contatto con la pelle. Quindi è quindi nocivo sia per la salute dell’uomo che per l’ambiente.
  • Cotone. Non è un tessuto inquinante, è infatti biodegradabile e traspirante. Lo è il suo processo produttivo e la lavorazione. Per produrre il cotone si utilizzano infatti ingenti quantità di acqua e di pesticidi. Per rispondere alla sua forte domanda, le coltivazioni sono intensive, con conseguenze gravi sui bacini idrici dei Paesi in via di sviluppo dove sono coltivati. Di fatto, ciò si traduce in rischi di siccità perenne, disboscamenti e problemi sia per la biodiversità che la qualità del suolo.

Quali sono le conseguenze del fast fashion

La Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite, in occasione di una conferenza tenutasi in Svizzera, ha avuto modo di rilasciare dati sconcertanti circa i danni che il fast fashion provoca all’ambiente. Sintetizzando:

  • è responsabile del 20% dello spreco globale dell’acqua
  • produce il 10% delle emissioni di anidride carbonica
  • emana più gas serra rispetto a tutti gli spostamenti aerei e navali di tutto il mondo
  • utilizza pesticidi che vanno a inquinare i fiumi e i terreni vicini alle fabbriche che ogni giorno scaricano nell’acqua pesticidi, coloranti tossici e ogni tipo di sostanze dannose e aggressive. In tal caso, a risentirne non sono solo le acque e i terreni, ma anche le popolazioni che abitano nei dintorni
  • ha imposto la creazione di coltivazioni intensive di cotone che hanno gravato in maniera abnorme sui bacini idrici dei paesi in via di sviluppo

Fast fashion e produzione di rifiuti

Passiamo ora ad analizzare un altro punto assai dolente: l’enorme produzione di rifiuti. Come suggerisce il termine stesso, la moda fast è stata pensata proprio per avere una vita breve. Una sorta di “usa e getta” degli indumenti, che passano di moda nel giro di brevissimo tempo e, sempre in tempi rapidissimi, vengono sostituiti da altri.

Ci sono due tipi di accumulo:

  • Merce invenduta. Produrre tanto comporta anche il rischio che non tutto venga venduto. L’invenduto, dopo essere transitato in vari canali distributivi per merce scontata, a vari livelli, in genere, viene bruciato. Poiché gran parte di questi vestiti è realizzata con tessuti sintetici, le sostanze rilasciate dai fumi sono piuttosto nocive.
  • Merce indesiderata. Nel momento in cui un capo d’abbigliamento passa di moda o, semplicemente, ce ne siamo stancati, lo buttiamo senza starci troppo a pensare e senza alcun rimorso perché “tanto l’ho pagato appena 10 euro”! Lo stesso ragionamento viene fatto anche se il capo si rovina o si rompe. Considerando il prezzo d’acquisto, si tende a pensare che non valga di certo la pena farlo sistemare. Effettivamente, il prezzo di una riparazione supera spesso il costo d’acquisto. Nonostante non sia una soluzione al problema di base, sarebbe molto meglio donare gli abiti dismessi piuttosto che gettarli in discarica. Dai dati emersi dal rapporto “L’Italia del riciclo 2010”, curato dalla Fondazione Sviluppo Sostenibile e Fise-Unire di Confindustria, in Italia, ogni anno, finiscono in discarica 240.000 tonnellate di prodotti tessili, principalmente capi di abbigliamento.

Come evitare fast fashion

Quando ci si va a fare shopping o si passa da una grande arteria commerciale, osservando le decine di vetrine che si susseguono, passano davanti agli occhi moltissimi abiti belli e originali che, spesso costano poco. La voglia e la tentazione di comprarne qualcuno è davvero irrefrenabile. Così facendo, spesso finiamo col comprare vestiti di cui non abbiamo una effettiva esigenza e di cui magari ci pentiamo. Si tratta cioè di acquisti compulsivi.

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Per frenare questo impulso irrefrenabile, bisognerebbe darsi il tempo di riflettere per porsi alcune domande.

  • Domandarsi se effettivamente si ha reale necessità di quel determinato indumento. Se la risposta è affermativa, provare a pensare se non ci sia già nel nostro guardaroba uno o più capi dello stesso stile o che possono svolgere la medesima funzione. Se anche in questo caso la risposta è sempre sì, significa che possiamo tranquillamente lasciare quel capo in negozio.
  • Riutilizzo dei propri vestiti e riciclo fai da te. Si può sfruttare uno stesso abito per più occasioni. Inoltre, con un po’ di creatività e di buona manualità, possiamo trasformare un capo in qualcosa di nuovo, di diverso e più originale. Ad esempio, un vecchio paio di jeans, potrebbe diventare un paio di shorts o un top da usare in spiaggia. Con lo stesso tessuto, potremmo anche creare qualche accessorio originale, come un cerchietto o un fermaglio per i capelli.
  • Prediligere marche ecologiche e sostenibili ed eco-friendly che usano tessuti organici e pagano il giusto la manodopera, costeranno un po’ di più ma sono più rispettosi dell’ambiente. Ci sono brand che, per la fabbricazione dei loro capi, usano fibre sintetiche riciclate senza usare sostanze chimiche durante il processo di produzione. Non generano quindi rifiuti con i componenti produttivi. Vi sono poi anche linee che si concentrano su valori etici e sulle materie biologiche.
  • Rivendere il nostro usato e acquistare di seconda mano, attraverso siti e app specifiche. Ormai è possibile trovare tutti i tipi di brand in questo tipo di mercato online, sia siti e app specializzati in abiti second hand, che negozi di usato vintage di fascino, che siti specializzati in vendita di oggetti e abbigliamento di marchi di lusso. Riciclando i vestiti, se ne prolunga quindi la durata evitando un inutile spreco di rifiuti.
  • Noleggio di abiti “importanti”. In particolari occasioni speciali, come un matrimonio, una laurea o un battesimo, si è obbligati ad indossare capi eleganti o da cerimonia. Vestiti che, di solito, si indossano quella giornata e poi vanno a finire rinchiusi nell’armadio. Per giunta, questo tipo di abito elegante, è anche piuttosto costoso. Il modo migliore per evitare uno spreco di denaro e l’impatto ambientale, è la possibilità di affittare vestiti e accessori affidandosi ad aziende e siti specializzati, che igienizzano e mettono a misura i vestiti selezionati e li recapitano persino. a domicilio.

Quali sono i brand fast fashion

Nonostante sia da pochi anni che si parla di fast fashion, in realtà, il fenomeno affonda le sue radici nella seconda metà del 1900.

A partire poi dagli anni Ottanta però, si iniziò ad applicare il modello di produzione della “moda istantanea”, con un team di stilisti che disegnava intere collezioni in tempi molto rapidi e capacità produttive veloci capaci di sfornare nuovi modelli in tempi molto rapidi. Ed una catena logistica tirata al massimo per una consegna velocissima in negozio.

I brand sono molto conosciuti e i loro punti vendita sono presenti in tutte le città del mondo occidentale e in molte capitali asiatiche e arabe. Sono distribuite sia in shopping mall che in grandi strade commerciali, e sono pubblicizzate su tutte le riviste di moda e i magazine femminili.

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Augurandoci che questo approfondimento sul fast fashion porti a riflettere molti di noi e, magari, a decidere di cambiare anche alcune abitudini, ecco altri utili approfondimenti che potrebbero interessare:

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Federica Ermete

Nata a Busto Arsizio nel 1982, dopo il diploma si trasferisce a Cremona – dove vive tutt’ora – per conseguire la laurea in ambito umanistico. Sia per formazione professionale che per passione personale, i suoi ambiti di specializzazione sono l’alimentazione, la salute, il fitness di cui è appassionata anche nella vita quotidiana, ed il benessere naturale. Collabora con entusiasmo con la redazione di Tuttogreen dal giugno 2020.

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