Il Greenwashing è ufficiale grazie all’Agenzia per l’Ambiente
Una bella pennellata di verde non può cancellare un fondo alquanto oscuro. Il termine greenwashing deriva dalla pratica del whitewashing, un’espressione che rivela i tentativi coordinati di nascondere fatti spiacevoli, soprattutto in contesti politici.
Se passiamo dalla cosa pubblica alle questioni ambientali, possiamo parlare di greenwashing quando una compagnia o un’organizzazione trascorre più tempo e investe più soldi nel proclamarsi ecologica attraverso operazioni pubblicitarie e di marketing, rispetto a quanto realmente fa per ridurre il suo impatto ambientale.
Esistono varie tecniche di greenwashing. Per esempio quando alcune aziende tessono le lodi alle proprie pratiche green, mentre al contempo esercitano pressioni pubbliche per evitare che leggi in favore dell’ambiente siano stese o applicate (political spin). Oppure quando quelle stesse aziende ricorrono a pubblicità mirate per esagerare certi risultati ottenuti in campo ecologico, al fine di tener nascoste situazioni poco edificanti in cui sono coinvolte (ad bluster).
Rientra nel greenwashing anche l’atteggiamento di chi rivela unicamente le qualità di un prodotto o di una politica aziendale, mentre in realtà concentra il core business su attività altamente inquinanti o poco sostenibili (dirty business).
Infine, seguendo le classificazioni di Greenpeace, si può parlare di “ripulitura verde” anche quando si pubblicizzano dei prodotti per le loro qualità ambientali, senza considerare che quelle stesse prerogative rientrano tra le prescrizioni della normativa vigente.
O addirittura quando si evidenziano dei risultati ottenuti che corrispondono solo a provvedimenti coercitivi, ad esempio quando si è costretti a risanare dopo aver creato un danno ambientale (It’s the law, stupid!).
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Nel complesso, si tratta di pratiche che tendono a ingannare i consumatori, cercando di sfruttare a fini commerciali la sempre maggior sensibilità che si è venuta a creare nei confronti dei temi ambientali.
Negli USA, in materia di greenwashing è finita nell’occhio del ciclone perfino la potentissima Agenzia per la protezione ambientale (EPA), responsabile della politica climatica del Paese.
Secondo alcuni critici, infatti, attraverso il progetto Green Power Partnership l’EPA sta continuando a disinformare i cittadini, pubblicizzando in modo ossessivo dei programmi che non hanno nessun risvolto positivo in termini ambientali.
Scendiamo nei dettagli. Nel sito dell’EPA scopriamo che il Green Power Partnership non è altro che un programma volontario, sostenuto dall’Agenzia, che assiste le organizzazioni aderenti procurando energia prodotta da fonti rinnovabili e promuovendo azioni in favore dell’ambiente. Un’operazione, in sostanza, che dovrebbe fornire credibilità alle aziende, pubblicizzando in modo proficuo tutte le iniziative eco-sostenibili intraprese e creando una rete con tutti gli altri leader sul mercato delle energie rinnovabili.
ESEMPI DI GREENWASHING:
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Stando a quanto comunicato dall’EPA, grazie al Green Power Partnership più di 1.500 organizzazioni stanno utilizzando annualmente oltre 29 miliardi di Kw/h di energia pulita, evitando così un’emissione di CO2 in atmosfera pari a quella prodotta negli USA da più di 3 milioni di abitazioni col consueto consumo energetico.
In realtà i detrattori sostengono che tale programma non realizza nessuno degli obiettivi che si prefigge (riduzione delle emissioni nocive e dell’inquinamento atmosferico mantenendo bassi prezzi energetici), poiché le aziende coinvolte non acquisterebbero energia pulita, ma solamente dei fantomatici ed economici certificati di energia rinnovabile (RECs) che, come smascherato da numerose testate giornalistiche quali Businessweek, non svolgono alcun ruolo nell’abbattimento delle emissioni di CO2.
Praticamente le imprese coinvolte nel Green Power Partnership possono dimostrare coi RECs acquistati di aver contribuito all’abbattimento dell’inquinamento perché i soldi versati, in teoria, dovrebbero servire a produrre energia pulita altrove. In realtà si tratterebbe invece di un semplice sfoggio di credenziali ecologiche inesistenti, perché i fondi dei RECs andrebbero a finanziare un progetto di energia sostenibile (un parco eolico) praticamente già ultimato e che non richiede ulteriori fondi, mentre l’alta diffusione delle “fattorie del vento” ha portato ad una netta riduzione dei costi dei certificati stessi (soli 1-1,45 euro /Mwh).
Le conseguenze negative di questa situazione sono ben evidenti. Le compagnie si credono a posto coi loro doveri ambientali e si astengono da promuovere altre azioni o iniziative ecologiche ben più costose, mentre i consumatori son portati a ritenere che i RECs siano effettivamente “green”, poiché il programma è sostenuto da un’autorità prestigiosa e autorevole quale l’EPA. Intanto, però, nessun provvedimento utile a risolvere gli squilibri climatici viene posto in atto.
Iniziano ad esser consapevoli di tale situazione alcune aziende, che, in modo responsabile, hanno deciso di abbandonare l’acquisto dei RECs per spendersi in favore di azioni più efficaci nella difesa dell’ambiente. Google e Microsoft, ad esempio, stanno stipulando dei contratti per acquistare tutta l’energia prodotta da alcuni parchi eolici nel corso di un periodo pari a 20 anni.
Così facendo, queste multinazionali incentivano effettivamente la nuova produzione di energia pulita, garantendo al contempo sicurezza ai produttori, che vengono sostenuti finanziariamente per un lungo periodo.
Ad oggi, però, questi casi virtuosi costituiscono ancora delle eccezioni. La via dei certificati economici – e inutili – resta quella più battuta. D’altronde, dato il prestigio goduto dai RECs molte aziende non fanno fatica a garantirsi una reputazione green, senza spendere una fortuna. Ben più impegnativa, seppur realmente ecosostenibile, è invece la strada intrapresa dalle aziende che non ricevono ancora nessun incentivo per le loro operazioni, legate a esborsi economici non indifferenti.
Di sicuro, un problema come quello degli squilibri climatici attende risposte serie per una sua risoluzione, non la falsa pubblicità dei vari greenwasher che ingannano il pubblico ignaro.
Ultimo aggiornamento il 24 Marzo 2024 da Rossella Vignoli
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