Nelle bibite almeno il 20% di succo di frutta: lo dice il nuovo decreto Balduzzi
Aranciata di arance, un binomio non necessariamente indissolubile, specie nelle bibite che siamo abituati a comprare al supermercato, visto che spesso e volentieri – tra aromi, zuccheri e conservati vari – di agrumi non c’è quasi traccia nonostante le etichette facciano credere il contrario. Più precisamente, la percentuale di vera frutta che si riscontra mediamente in queste bevande è inferiore al 12%, dose minima fissata dalla legge e giudicata oggi ‘insufficiente’ dal Decreto Sanità del Ministro Balduzzi, che vuole portare al 20% la quantità di succo da introdurre in bibite commercializzate con il nome di ‘uno o più frutti da succo’ o con ‘nomi di fantasia il cui riferimento in etichetta riguardi esplicitamente la frutta’.
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La notizia ha provocato l’immediata protesta delle aziende produttrici che hanno contestato il provvedimento con una (singolare) motivazione: l’aggiunta di altro succo di frutta potrebbe cambiare il sapore e ‘snaturare’ il prodotto, gettando così nel baratro un intero comparto ed una produzione da 900 milioni di litri all’anno.
Un esempio? I responsabili di Coca Cola Ellenic si dicono convinti che addizionare la Sprite con una simile quantità tale di succo di limone renderebbe la bibita imbevibile. I rappresentanti della San Pellegrino (Nestlé), invece, pensano che aumentare la frutta significherebbe alzare anche la concentrazione di zuccheri e conservanti, il ché non gioverebbe di sicuro alla salute dei consumatori…
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Da una parte, dunque, ci sono i produttori che hanno invocato l’intervento dell’Europa perché il decreto venga modificato o ritirato; dall’altra Governo e Coldiretti si dicono profondamente convinti della bontà del provvedimento, essenziale sia a tutelare la salute dei consumatori (e i loro diritti), sia per far crescere il volume d’affari derivante dalla produzione e vendita di agrumi che salirebbe di 200 milioni di chili di arance in più all’anno, con grande gioia dei coltivatori e distributori.
Il decreto, di fatto, non cancella il diritto alla libera circolazione delle merci, il ché vuol dire che le grandi aziende potranno continuare a produrre all’estero e importare in Italia bibite con meno frutta; diversa la situazione per i piccoli produttori che, non potendo sostenere simili costi, potrebbero essere costretti a chiudere le attività nel giro di pochi mesi.
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Opinabile o no, l’idea di iniziare a ‘chiamare con il loro nome’ i prodotti che acquistiamo al supermercato senza che possano essere spacciati per genuini e naturali, ci sembra corretta e di certo non siamo in grado di sapere se l’aumento di frutta comporterà effettivamente un proporzionale aumento di zuccheri e conservanti.
È altrettanto vero che l’unico arbitro in questa situazione rimane il consumatore: un bel bicchiere di acqua colorata all’aroma di arancia o una spremuta fatta in casa con frutta vera? A noi la scelta…
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Ultimo aggiornamento il 9 Giugno 2013 da Rossella Vignoli
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