Ambiente

Protocollo di Kyoto: cosa sancisce ed è davvero mai stato rispettato?

Stipulato l’11 dicembre 1997 e sottoscritto fino a oggi da oltre 180 paesi, il protocollo di Kyoto è il più conosciuto degli accordi mirati a contrastare i cambiamenti climatici limitando le emissioni di gas serra. Il protocollo è in realtà un aggiornamento della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (FCCC), stipulata nel 1992 a Rio de Janeiro: a differenza di quest’ultima, prevede però per la prima volta l’imposizione ai paesi aderenti di limiti obbligatori per le emissioni, e per questo motivo si è guadagnato una notorietà molto maggiore della Convenzione stessa.

Protocollo di Kyoto: cosa sancisce ed è davvero mai stato rispettato?

Il trattato fu pesantemente condizionato, fin dai suoi esordi, dalla mancata adesione degli Stati Uniti, che nel 2001 generavano da soli il 36,2% delle emissioni globali. Inoltre, altri paesi firmatari, come Cina e India, vennero esonerati dagli obblighi previsti dal trattato perché non ritenuti tra i maggiori responsabili delle emissioni nocive nel precedente periodo di industrializzazione. I primi 40 paesi aderirono al trattato nel 2001 durante la Conferenza di Marrakech; entro il 2003 i firmatari salirono a 120.

Oggi i paesi aderenti sono 184, tra cui anche la Russia, che ha ratificato il trattato nel 2004, e l’Australia, la cui firma è arrivata nel 2007. L’adesione della Russia è stata fondamentale perché, sulla base degli accordi del 1997, il protocollo sarebbe entrato in vigore solo quando i paesi sottoscrittori avessero raggiunto complessivamente la quota del 55% delle emissioni mondiali di gas serra. Il protocollo è quindi entrato definitivamente in vigore il 16 febbraio 2005.

Gli stati che hanno aderito al trattato si sono impegnati a ridurre le proprie emissioni di gas serra, nel periodo 2008-2012, di una quota pari almeno al 5% rispetto ai valori registrati nel 1990. Per quanto riguarda l’Unione Europea la riduzione collettiva delle emissioni dovrà essere dell’8%.

I gas presi in esame dal protocollo sono biossido di carbonio, metano, protossido di azoto, idrofluorocarburi, perfluorocarburi ed esafluoro di zolfo; tra le strategie per ridurne le emissioni figurano il miglioramento dell’efficienza energetica, la promozione dell’agricoltura sostenibile, lo sviluppo delle fonti di energia rinnovabili, la collaborazione con altri paesi e il coordinamento delle politiche nazionali.

Benché sia difficile valutare a livello mondiale l’attuale grado di avanzamento nel conseguire gli obiettivi previsti dal protocollo, il rapporto “Greenhouse gas emission trends and projections in Europe 2009″ dell’Agenzia Europea dell’Ambiente traccia un quadro abbastanza preciso della situazione nell’Unione Europea. In base allo studio, nel corso del 2008 i paesi europei hanno mantenuto le proprie emissioni del 6,2% al di sotto della quota base (quella registrata nel 1990), mentre nel periodo dal 2004 al 2008, in media, la riduzione rispetto all’anno-campione è stata del 3,9%, contro l’8% previsto dal trattato. Sempre secondo questa relazione, Germania, Grecia, Svezia e Regno Unito hanno già ridotto le proprie emissioni ben oltre i limiti assegnati dal trattato, mentre i paesi che non hanno rispettato l’impegno in misura più significativa sono la Spagna e l’Italia: gli spagnoli hanno addirittura aumentato le proprie emissioni del 33,6% nel periodo in esame, mentre per l’Italia, terza in Europa ora per emissioni di gas serra, l’aumento è stato del 15%. Anche altri paesi hanno un saldo negativo (fra questi Austria, Danimarca, Olanda, Portogallo, Belgio, Irlanda e Finlandia), ma i valori assoluti delle emissioni sono decisamente meno importanti.

Va ricordato che in caso di inadempienza agli obblighi sanciti dal trattato è prevista, tra l’altro, la maggiorazione del 30% sulla quantità di emissioni che mancano al raggiungimento dell’obiettivo.

Ultimo aggiornamento il 30 Novembre 2017 da Rossella Vignoli

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