Ricerca scientifica ed ecologia: un binomio che negli ultimi tempi ha dato vita a sorprendenti innovazioni in qualsiasi campo di applicazione. L’ultima in ordine cronologico si chiama Qmilk ed è una delle più nuove eco-fibre. È infatti ottenuta dagli scarti industriali del latte.
La paternità dell’idea, in realtà, si deve attribuire allo stilista italiano Antonio Ferretti, che già nel lontano 1937 creò il lanital, una fibra molto simile per consistenza e caratteristiche alla lana ma prodotta a partire dalla caseina.
A differenza della lana ‘tradizionale’, il lanital era invulnerabile all’attacco delle tarme e si prestava a innumerevoli lavorazioni. Un’idea che anticipava i tempi ma aveva anche numerosi ‘problemi tecnici’ per cui ben presto questa fibra proteinica venne accantonata per far spazio a nuovi tessuti sintetici e chimici (come l’acrilico), dalle caratteristiche più affidabili, che monopolizzarono per lungo tempo il mercato. In effetti il lanital si restringeva molto ai lavaggi e non resisteva all’umido. Inoltre rappresentava fin troppo il simbolo dell’autarchia fascista, dunque dopo la guerra fu soppiantata da altre fibre di origine ‘americana’.
A distanza di anni, la formula tutta italiana del lanital è stata dunque ripresa, perfezionata e applicata alla creazione di abiti, garze e tappezzeria per automobili dalla stilista e microbiologa tedesca Anke Domaske che è riuscita a farne un brand di successo dall’evocativo nome Qmilk.
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La ricerca, durata 2 anni, ha resistito una fibra proteica ancora più ecologica che non solo bandisce l’utilizzo di sostanze chimiche inquinanti nel processo di lavorazione, ma vuole risolvere almeno in parte il problema dello spreco del latte. Basta pensare che ogni anno, nella sola Germania, se ne gettano quasi 2 milioni di tonnellate.
Il processo produttivo di Qmilk, inoltre, sembra essere molto più ecosostenibile poiché per realizzare un chilogrammo di tessuto occorrono appena 2 litri di acqua, contro i 10.000 necessari per produrre la stessa quantità di cotone.
Qmilk è biodegradabile, antibatterico, dermatologicamente testato e privo di additivi chimici. In più si presta a svariate applicazioni che vanno dall’abbigliamento, all’automotive, ai bendaggi e alla biancheria per la casa fino ad arrivare alla biancheria per neonati e ad uso medico-ospedaliero.
Una bella invenzione italiana che, tanto per cambiare,vedrà la luce grazie all’intraprendenza tedesca… Resta da vedere se sono state risolte anche le difficoltà ‘tecniche’ legate ai sui difetti.
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Ultimo aggiornamento il 22 Marzo 2024 da Rossella Vignoli
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