Quote latte: perché beviamo latte straniero quando ne produciamo tanto in Italia?
Sapete cosa sono le quote latte e perché la maggior parte del latte che beviamo non è latte italiano ma è latte straniero? Ecco i motivi che hanno affossato uno di mercati di eccellenza del nostro Paese.
In questo articolo parliamo di quote latte. Molti di noi bevono il latte al mattino, ed è un ingrediente di base in molte preparazioni e di prodotti che rappresentano delle eccellenze del nostro Paese come i formaggi (pensiamo a Grana Padano, Parmigiano Reggiano e a tutti gli altri formaggi tipici… mozzarelle di Bufala escluse perché quelle si fanno con il latte di bufala e non di mucca).
Il problema si può riassumere in poche parole: in Italia beviamo e mangiamo latte straniero quando il nostro fabbisogno potrebbe essere tranquillamente soddisfatto solo da latte italiano. E invece le stalle sono chiuse, mucche non ne abbiamo più, le grandi centrali sono state acquistate da aziende straniere che sottopagano gli allevatori e loro di conseguenza chiudono sempre di più.
Avrete sentito sicuramente parlare, della mungitura pubblica avvenuta in molte città per sensibilizzare la popolazione relativamente al problema…
Sommario
Le quote latte: una storia lunga
Il problema, chiaramente, non inizia oggi, ma viene dal passato, per la precisione dalla fine degli anni ’80 quando furono introdotte le cosiddette “Quote Latte“, di cui probabilmente avrete quantomeno sentito il nome. Queste quote erano stabilite in base ad una politica europea che mirava a fermare la sovrapproduzione di alimenti, tra cui il latte, che imperava in quegli anni, dopo una lunga ripresa dal dopoguerra.
Per produrre si doveva avere una ‘quota’, un pezzo di carta. Se si aveva (ad esempio) una quota si potevano produrre 100 litri di latte, se si avevano due quote, si potevano fare 200 l e così via. Per aumentare la produzione, era necessario comprare diverse quote, e per far questo venivano “sprecati” dei soldi nell’acquisto di quote invece impiegarli in altro modo, ad esempio per comprare fieno e nutrire le mucche.
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Molti allevatori non potevano permettersi questo tipo di investimenti e sappiamo bene che un’azienda in espansione si espande proprio per avere maggiori profitti:se c’è la stalla e si hanno le attrezzature, non è un problema economico aggiungere 100 mucche.Invece i soldi spesi per le quote, non sono destinati ad acquistare mucche o materiale dedicato all’allevamento, ma semplicemente a far “stare a galla” l’azienda agricola. Così alla prima crisi chi non aveva delle riserve sufficienti, perdeva tutto e chiudeva.
Questo è quello che è successo a tantissimi allevamenti dal 2000 ad oggi, quando nel 2015 qualcuno si è svegliato e ha detto “ma forse è meglio toglierle“. Dopo che i danni, ovviamente, erano già stati fatti.
Latte italiano o latte straniero?
Queste politiche, perché di problemi prettamente politici si è trattato, e nemmeno italiani (anzi, molti senatori in passato avevano interesse nell’allevamento e avrebbero voluto togliere queste quote latte), europei. Intanto le famigerate ‘quote latte’ hanno messo in ginocchio il mercato lattiero-caseario italiano, tanto che oggi molte aziende che producono formaggio, anche se ubicate in Italia, sono aziende straniere.
E’ il latte straniero, spesso proveniente dall’Europa dell’Est a prezzi bassissimi, che viene utilizzato per fare i formaggi, che poi vengono venduti come prodotti italiani.
Mettiamo in chiaro una cosa: formaggi come il Parmigiano Reggiano o il Grana Padano sono fatti con il latte italiano perché essendo DOP sono obbligati per legge, devono seguire un disciplinare; altri formaggi vaccini invece non lo sono, perché il latte si può importare anche dall’estero.
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E siamo ad un punto in cui importarlo è una necessità: in Italia non ce n’è abbastanza, e per contenere il prezzo finale di vendita e rimanere appetibili sul mercato bisogna acquistare il latte a poco prezzo, prezzo che se fornito ad un allevamento italiano non basta nemmeno per nutrire le mucche. E così il latte si importa dall’estero, e le aziende italiane chiudono, e il latte italiano praticamente non c’è più.
A tutto questo si va ad unire, ancora una volta, una questione normativa: l’etichettatura del latte è poco trasparente. Non tanto quella del latte in sé, quello che si beve, ma quella che riguarda i formaggi. In questo ambito, infatti, c’è l’obbligo di indicare dove è stato fatto il prodotto (basta che lo stabilimento sia in Italia per fare di un formaggio un formaggio italiano) ma non è necessario indicare da dove è stata importata la materia prima, purché una quota sia italiana e non sia tutta stata comprata dall’estero.
Per saperne di più sulle quote latte, ecco un libro interessante:
Dunque, in etichetta si deve evidenziare che è straniero solo se utilizza interamente del latte importato, se invece si utilizza solo una parte di latte straniero mentre c’è anche del latte italiano, allora non c’è obbligo, così nessuno scrive in etichetta che quel prodotto caseario è stato fatto con latte in parte italiano e in parte importato… E visto che lo stabilimento di produzione, dove si lavora il prodotto (o dove si raccoglie il latte), è in Italia, quel formaggio, quella mozzarella, quello yogurt, ai fini della legge, sono italiani, sono made in Italy.
È un po’ un controsenso, perché qui parliamo di alimenti ed è ben diverso dal caso di un abito, in cui la stoffa può anche essere importata, ma se l’artigiano è italiano è veramente un made in Italy… Con gli alimenti come il formaggio, è fondamentalmente che il latte sia italiano per avere un formaggio italiano, almeno a rigor di logica.
La situazione attuale è questa: le politiche europee, unite forse ad una mano debole del nostro Paese, hanno affossato il mercato italiano del latte, favorendo gli stranieri.
Quote latte: beviamo latte crudo!
Purtroppo a livello di consumatore non possiamo fare molto. Tuttavia una piccola soluzione c’è e si chiama latte crudo.
Per legge il latte crudo deve essere prodotto in provincia o nelle province limitrofe alla propria, per cui è un prodotto a chilometro zero; se trovate i distributori automatici, bevete quello e non quello industriale. È anche più buono, ma soprattutto l’euro al litro (il prezzo giusto) che si paga andrà tutto all’allevatore, a differenza dei 30 centesimi che gli dà l’industria (quando paghiamo il latte 1 euro al litro sappiate che 70 centesimi vanno all’industria distributiva e di trasformazione).
Mangerete bene, berrete bene e darete una mano a persone che sono obiettivamente in difficoltà. Persone come noi, che vedono altrimenti la loro azienda crollare pian piano, come un castello di sabbia sotto al sole.
In questo sito, se siete interessati, trovate la mappa dei distributori di latte crudo che si trovano nelle varie regioni, suddivisi per le singole province e con tanto di indirizzi.
Immagine via shutterstock.
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Ultimo aggiornamento il 19 Settembre 2024 da Rossella Vignoli
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