Ci vuole una legge per la tutela del mare, e in fretta!
Sempre più a rischio per inquinamento e sfruttamento ittico, si rivela fondamentale un accordo tra i vari Stati che permetta la tutela del mare a livello internazionale, e velocemente!
Il rapido e inesorabile deterioramento dell’ecosistema marino rappresenta un rischio ambientale di entità globale che non può essere più ignorati da governi e istituzioni; la tutela del mare deve diventare un tema focale nell’agenda politica degli stati occidentali. A lanciare l’ennesimo allarme e la giornalista e ambientalista Deborah Wright che ha acceso i riflettori sul problema della conservazione del patrimonio marino e oceanico mondiale e, con esso, delle specie marine in via d’estinzione e della comunità umane stanziate lungo le coste.
Quello che la Wright propone è la tutela del mare inteso come ‘patrimonio dell’Umanità’ delle generazioni presenti e future.
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Il perché è presto detto: la pesca illegale sta letteralmente svuotando gli oceani, mettendo a repentaglio la sopravvivenza di molte specie ittiche, cetacei e mammiferi, alcune delle quali sono ormai in via d’estinzione. Al tempo stesso anche la pesca commerciale influisce negativamente sulla conservazione della fauna marina, guidata com’è, da mere logiche di mercato e di profitto. Ogni anno, milioni di uccelli e piccoli mammiferi vengono uccisi da reti e detriti di ogni tipo, e molti pesci e muoiono per l’ingestione di frammenti di plastica derivanti dai milioni di metri cubi di rifiuti dispersi in mare.
Anche le barriere coralline sono ormai duramente provate dall’azione sconsiderata dell’uomo oltre che dal surriscaldamento globale: si pensi ai danni prodotti dalle grandi piattaforme delle compagnie petrolifere e dai colossi della pesca che, per aumentare i loro profitti, stanno mettendo a rischio la sopravvivenza di intere comunità costiere su scala mondiale.
L’azione collettiva e condivisa a livello internazionale che Deborah Wright propone di attivare, non ha nulla di scontato o utopistico. I mari e gli oceani del nostro Pianeta, infatti, sono già tutelati dal diritto comunitario e da specifici trattati. Si pensi alla Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare, sottoscritta da 178 stati membri per massimizzare gli sforzi a tutela dell’ecosistema marino e oceanico.
Ma se esistono già delle leggi e degli accordi internazionali per la protezione dei nostri mari, perché siamo a questo punto? Cosa impedisce che queste leggi vengano effettivamente applicate in maniera rigorosa e incorruttibile?
In primis, il diritto del mare deve essere modernizzato. L’ultima revisione risale infatti a 12 anni fa e non tiene conto degli sviluppi socio-economici, tecnologici e ambientali subentrati del corso di questi anni (uno su tutti il fenomeno dell’acidificazione degli oceani).
Secondo, ma non meno importante, ad oggi non vi è sicurezza e sistematicità nell’applicazione delle leggi su scala mondiale nonostante si disponga degli strumenti tecnologici necessari. Come dire: il concetto è semplice e fin troppo chiaro. I mezzi per tradurre in pratica la teoria ci sono, ma non vengono utilizzati.
Il quadro giuridico c’è ed in parte è già in atto, basterebbe solo aggiornarlo e attualizzarlo. Occorre dunque istituire una vera e propria governace marina che ponga fine a tutte queste assurde contraddizioni.
Immagine via shutterstock.
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