In molti Paesi, specie nel Sud America, chi s’impegna nella salvaguardia delle risorse naturali rischia seriamente la vita. Secondo l’organizzazione Global Witness si tratterebbe addirittura di 1 morto a settimana, con 711 casi nell’ultimo decennio.
Un fenomeno in crescita esponenziale con il bilancio più grave registrato lo scorso anno: 106 omicidi, quasi il doppio rispetto a due anni prima e in aumento rispetto alle 96 vittime del 2010.
I numeri potrebbero tuttavia essere al ribasso poiché mancano a livello internazionale informazioni sistematiche sul fenomeno. L’organizzazione ha posto tali dati anche all’attenzione dei leader mondiali riuniti di recente in Brasile per il vertice sull’ambiente Rio +20, chiedendo loro misure per contrastare crimini che spesso coinvolgono funzionari pubblici e grandi gruppi multinazionali.
I dati devono essere ben interpretati. Se è vero che il maggior numero di omicidi è stato commesso in Brasile (con oltre la metà dei delitti), Perù e Colombia, è altrettanto vero che questi sono i Paesi dove maggiore è la trasparenza e dove i gruppi per i diritti civili, la stampa e le organizzazioni religiose trovano minori ostacoli nel loro lavoro di denuncia.
Pertanto registrare il numero di omicidi è più facile rispetto ad altri paesi nei quali le comunità o i testimoni sono vittime di intimidazioni, violenze ed espropri forzati che li scoraggiano dal parlare. In altri casi ancora i crimini sono perpetrati in posti dove la l’informazione è più controllata, come nel Laos, in Cambogia o in Cina.
Altra nemica delle statistiche è l’impunità. Come nelle Filippine dove lo scorso novembre fu colpito il missionario italiano padre Fausto Tentorio, che probabilmente aveva ricevuto informazioni scottanti o aveva toccato interessi economici di grossi imprenditori e potentati locali. E nel solo mese di maggio di quest’anno sono stati 4 gli attivisti filippini uccisi.
Infine, giusto ricordare alcuni omicidi eccellenti, tutti rimasti impuniti. Quello di ChutWutty, un’attivista cambogiano ucciso dalle forze di sicurezza mentre svolgeva ricerche sui contrabbandieri di legname e sugli espropri forzati, il cui caso fu aperto e chiuso dalla polizia inappena 3 giorni.
Nisio Gomes, leader di una comunità indigena nello stato brasiliano del MatoGrosso do Su, freddato nel novembre dello scorso anno da un’incursione di 40 uomini armati nelsuo villaggio. Si trattò probabilmente di sicari di grandi latifondisti che sfruttano le terre considerate ancestrali dalle comunità locali. Fecero inoltre scalpore gli omicidi di José Cláudio Ribeiro da Silva e Maria do Espirito Santo, figure di spicco tra gli attivisti per la salvaguardia dell’Amazzonia.
E noi che credevamo che i mestieri pericolosi fossero altri!
Ultimo aggiornamento il 24 Luglio 2024 da Rossella Vignoli
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